Libertà delle donne nel XXI secolo

Convegno Internazionale

Libertà delle donne nel XXI secolo. Pensieri e pratiche oltre i fondamentalismi

(Casa Internazionale delle Donne 20-22 ottobre 2017)

 

Per me il femminismo è stato il principio che affermava il diritto delle donne di esistere, oltre il condizionamento che la cultura imponeva. Gli stereotipi, donna, figli, casa, fragilità, tradizioni, sono cresciuti negli ultimi decenni di pari passo con la globalizzazione del mondo occidentale, creando, di fatto, un terreno, particolarmente fertile alla genesi di fondamentalismi che rappresentano una continua minaccia alla libertà delle donne.

Viviamo in un’epoca, in cui la crisi finanziaria, la disoccupazione, l’immigrazione, le disuguaglianze sociali ed il cambiamento climatico influiscono sulla vita delle donne, amplificandone gli effetti negativi sul loro futuro. Parlare di “donne” può addirittura diventare scomodo,  in un’epoca segnata da regressioni culturali e politiche, in cui il futuro dipende  molto dal paese in cui  la donna vive, dalla religione che pratica, dalla sua classe sociale, dal livello di istruzione e dal reddito di cui dispone. E’ come se l’imponente avanzata delle donne degli ultimi 40 anni avesse perso in qualche modo la soggettività del pensiero femminista  indebolendone le sue capacità di produrre alternative fondate sul diritto all’inclusione ed alla partecipazione alla vita sociale.

Una forma di fondamentalismo è afferibile al libero mercato; il frutto delle politiche liberiste e delle privatizzazioni hanno messo in discussione i principi di uguaglianza per cui se l’economia diventa legge e ideologia si rafforzano degli aspetti di patriarcato e capitalismo che diventano indicatori di profonde asimmetrie della condizione delle donne  nel tessuto sociale.

Tania Toffanin, docente e ricercatrice universitaria scrive:

“Capitalismo e patriarcato hanno stretto una solida alleanza contro le donne, per il controllo degli aspetti riproduttivi e dei loro corpi. Nel tempo, la svalutazione e la discriminazione delle donne si sono sviluppati in parallelo al disciplinamento della forza-lavoro, indispensabile per accrescere lo scambio di mercato e aumentare i profitti delle imprese. Questa dinamica si è prodotta ininterrottamente attraverso la progressiva dequalificazione del lavoro riproduttivo: lavoro domestico e di cura, cruciali per la riproduzione sociale, sono attività il cui valore è disconosciuto e scarsamente retribuito. Nella fase di accelerazione capitalistica attuale, i processi di ristrutturazione delle imprese e le politiche di austerità hanno innescato la progressiva destrutturazione dello stato socio-assistenziale. Le conseguenze più deleterie della dinamica in corso ricadono su immigrati, anziani, bambini, disabili e le donne. Proprio sulle donne si stanno scaricando gli oneri maggiori della fase economica, sociale e politica attuale, specialmente nei paesi che hanno storicamente articolato le prestazioni dello stato socio-assistenziale sul divario di genere presente nella divisione del lavoro. L’Italia è tra questi paesi. L’invecchiamento della popolazione e la riduzione della fecondità stanno ponendo nuove questioni alla società italiana. Tuttavia, a causa dei pesanti tagli allo stato sociale, apportati dai diversi governi succedutesi con l’inizio del nuovo millennio, vecchie e nuove responsabilità della cura, prima sostenute, almeno parzialmente dallo  Stato, ora rischiano di essere scaricate interamente sulle donne. L’analisi dei dati Eurostat mostra che dal 2004 al 2015, l’impoverimento dei lavoratori in età compresa tra i 25 e i 54 anni ( 11,9%), è aumentato di 2,8 punti percentuali, collocandosi sopra la media EU 28 (9,5%) di oltre 2 punti percentuali e risultando ai primi posti in Europa dopo Romania, Grecia e Spagna. Per le donne, il tasso di impoverimento è cresciuto proporzionalmente in misura maggiore di quello degli uomini. Crisi economica e politica di austerità stanno condannando molte donne italiane a ritornare a svolgere lavoro domestico e di cura non retribuito a tempo pieno in famiglia, sacrificando l’autonomia faticosamente conquistata in precedenza. In questo scenario, piuttosto di ridursi, il radicato divario tra pubblico e privato, è aumentato enormemente, ponendo nuove sfide e interrogativi al femminismo (e ai femminismi ) e a tutta la sinistra.”

Questi dati sono confermati  dal World Economic Forum nell’ambito dell’ultimo Global Gender Gap Report 2017 (ndr: dati  diffusi successivamente alla conclusione del Convegno) dai quali emerge che l’Italia è passata  dal 50° all’82° posto  della classifica che misura il  divario  tra uomini e donne  per quanto riguarda  status e attitudini; in particolare  il 61,5% delle donne che lavorano in Italia non ricevono retribuzione, oppure questa  è inadeguata   rispetto  al  22,9% degli uomini.

La giornalista ed esperta di commercio internazionale e sviluppo economico Monica Di Sisto afferma che anche nell’ambito del Genere e Commercio (Gender and Trade ) vi siano componenti di fondamentalismo che tendono a violare i diritti umani e delle donne attraverso politiche commerciali di matrice maschilista, sebbene siano in particolare le donne a condurre la maggior  parte delle lotte alle privatizzazioni. Nel suo intervento, inoltre, sostiene l’urgenza di  unire le donne per elaborare un nuovo modello economico e sociale sul quale impiantare un dialogo costruttivo.

L’Europarlamentare Eleonora Forenza  precisa che “Ci sono alcuni strumenti del Parlamento Europeo a disposizione: ogni commissione ha una responsabile di genere (gender mainstreaming). Questo è positivo. C’è un Istituto europeo che misura la disuguaglianza di genere, servirebbe anche in Italia incrementare i dati di analisi”. Inoltre “le nuove generazioni vanno sostenute e va dato loro spazio, coordinamento fra generazioni. Come costruire una alternativa? Femminismo, ecologismo, anticapitalismo si devono misurare con pratiche politiche effettive, l’auto-organizzazione e l’economia sociale hanno un ruolo. Intersezione fra le diverse rivendicazioni: delle donne dei migranti di chi lavora e chi no”. Infine “Il femminismo non può eludere la norma poiché essa è una delle espressioni del fondamentalismo neoliberista (“le leggi per il no” del neoliberismo citate da Susan George), serve rapporto stretto e dialettico fra norma e movimenti sociali: il conflitto è decisivo e gli spazi che gli si possono aprire. Occorre potenziare la costruzione di un altro modello, al cui interno si ridefinisca la questione del Reddito di autodeterminazione in rapporto al salario minimo europeo.”

 

Stereotipi e fondamentalismi caratterizzano anche il mondo scientifico e accademico  con pesanti ricadute sull’operato femminile. Flavia Zucco  ci racconta che la scienza è luogo di potere maschile, costruito da uomini. L’esclusione delle donne non viene facilmente riconosciuta anche perché il femminismo non si è occupato della scienza e viceversa. Perciò, gli stereotipi hanno marcato la cultura scientifica  di informazioni non veritiere ostacolando di fatto il diritto a sviluppare carriere tradizionalmente appannaggio maschile. Occorre, dunque, una riappropriazione delle donne nei luoghi scientifici.

 

Nel contempo anche la Comunità scientifica e l’OMS lanciano un preoccupante allarme circa i gravissimi rischi per la salute umana da inquinamento ambientale e delle specifiche ricadute di genere ad esso connesse .

 

Tutto questo impone una attenta riflessione che è necessario diventi centrale nell’agenda politica:

il femminismo (anzi i femminismi ) ripensino come le donne possono apportare novità dentro le organizzazioni – non c’è norma senza lotte sociali come non c’è regola senza relazioni circolari e forti – Dobbiamo anche ripensare la rappresentanza nei luoghi di lavoro in rapporto al genere e agli immigrati (nazionalità). In Italia si parla troppo poco di conflitto – di classe sociale – serve ripartire dai fondamentali per nuovi avanzamenti

Diciamo “oltre tutti i fondamentalismi”  perché non vogliamo limitarci alla denuncia degli attacchi e della regressione.

Le donne non sono più l’espressione di un compromesso ma l’espressione di un attacco e aumentando il dialogo ma nello stesso tempo il conflitto con gli uomini  potranno essere le protagoniste del  cambiamento.

 

Anna Sergio

 

 

 

 

 

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