Città metropolitana e decentramento amministrativo – Walter Tocci

Walter Tocci – Descrizione della mia proposta di riforma istituzionale

Occorre una radicale riforma istituzionale della capitale. Se i suoi nuovi compiti si dispiegano nelle dimensioni della regione e del mondo, bisogna trarre la logica conseguenza di abolire il vecchio Comune. Il municipalismo romano è ormai inadeguato sia a promuovere la proiezione internazionale sia a gestire la programmazione urbanistica ed economica dell’area vasta.

Quando ne parlo in pubblico mi sforzo di conferire al discorso un tono razionale per contenere l’emozione. Sono affezionato all’amministrazione comunale, nei suoi uffici mi sono formato come giovane amministratore, ho trascorso gli anni migliori del mio impegno politico. Proprio per questo però credo di sapere che da tanto tempo il Comune è obsoleto. È un’istituzione troppo grande e troppo piccola. È troppo grande quando deve rispondere ai problemi di quartiere e dei servizi alla persona, come un elefante che non riesce a cogliere un fiore. È troppo piccola rispetto ai processi di cambiamento sociale e urbanistico che hanno superato di gran lunga i confini comunali.

Con l’abolizione del Comune di Roma si possono trasferire le sue funzioni in alto rafforzando la Città Metropolitana e in basso per trasformare i Municipi in Comuni, come quelli di Berlino e di Parigi.

Dal punto di vista legislativo la riforma è molto semplice e potrebbe essere approvata in poco tempo se vi fosse una chiara volontà politica. È necessario un piccolo emendamento per sopperire ai difetti della legge del 7 aprile 2014, n. 56, scritta in modo improvvisato per correre dietro agli annunci mediatici del presunto scioglimento delle Province. L’intervento legislativo è necessario anche per definire la legge elettorale per la Città Metropolitana. Questa è l’occasione per superare il sistema delle preferenze che tanti guasti ha prodotto nella politica romana. Si potrebbe ripristinare la vecchia legge provinciale basata sui collegi per assicurare su piccoli ambiti territoriali un rapporto diretto tra eletti ed elettori, ovviamente eleggendo direttamente il Sindaco della Città Metropolitana.

Questa riforma non è un lusso, una fisima, un’illusione, come si sente dire. È una stringente necessità, non solo per migliorare il modello di governo, ma almeno per evitarne il peggioramento. Più o meno consapevolmente, infatti, si è presa una strada che conduce a un ulteriore ingarbugliamento dell’assetto istituzionale romano. Si è aggiunta una nuova istituzione come la Città Metropolitana senza ridisegnare l’ordinamento esistente, come purtroppo è sempre accaduto nel riformismo italiano, ad esempio quando si istituirono le Regioni senza modificare i Ministeri.

La Città Metropolitana è ancora una scatola vuota, ma fra dieci anni diventerà un soggetto rilevante – soprattutto in seguito all’elezione diretta dei suoi organi – collocandosi come un’intercapedine tra Comune e Regione. I rapporti tra queste due istituzioni, già oggiAggiungi un appuntamento per oggimolto difficili, si complicheranno viepiù, esasperando i conflitti, le sovrapposizioni e le incertezze di attribuzione delle funzioni. Il sistema romano-laziale è caratterizzato da una forte polarizzazione del capoluogo rispetto al resto del territorio. Questo squilibrio sarà accentuato da una Città Metropolitana che rappresenta l’80% della popolazione regionale, con funzioni amministrative contigue e difficilmente distinguibili da quelle capitoline.

Invece l’abolizione del Comune semplifica l’assetto istituzionale, riducendo a due soli livelli il governo dell’area. Si potrebbe fare ancora meglio con una seconda fase della riforma attribuendo alla Città Metropolitana i poteri della Regione capitale, unificando sotto una sola istituzione tutti i poteri – legislativi, amministrativi e rappresentativi – dell’area romana. Il sistema diventerebbe semplice, efficace e autorevole. I poteri regionali consentirebbero il pieno dispiegamento dell’azione di governo nelle dimensioni strategiche della regione e del mondo. Ci sarebbero gli strumenti per la pianificazione dell’area vasta e per la gestione delle politiche europee e di cooperazione internazionale. La forma istituzionale verrebbe a coincidere con la scala territoriale e con i compiti futuri di Roma.

Ovviamente questo sviluppo diventerebbe possibile solo con l’auspicata riforma costituzionale per la riduzione del numero delle Regioni. Sarebbe l’occasione per promuovere un regionalismo cooperativo, dopo il fallimento consumato nell’ultimo ventennio sia dalla mitologia federalistica sia dalla prosopopea centralistica.

Se e quando si aprirà questo dibattito, la classe politica romana – sperando si sia nel frattempo rimessa in buona salute – dovrà convincere l’opinione pubblica che la Regione capitale è utile a Roma e all’Italia. Occorre una soluzione ordinaria per incardinare la funzione di capitale in una forma istituzionale regionale, ponendo Roma nelle stesse condizioni delle altre regioni, senza ricorrere a uno status speciale, senza chiedere privilegi, anzi come presupposto per ricostruire la responsabilità verso se stessa e verso il Paese: una Regione capitale grande come la Liguria per estensione e come il Piemonte per popolazione.

13 dicembre 2017

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