Il “gravoso” compito tutto politico del candidato riluttante

L.D. 20 gennaio 2016

renzigiachettiMatteo Renzi tenta di giocare d’anticipo. Con una mossa che è stata criticata – nel metodo prima ancora che nel merito – anche da una parte della stessa base del PD romano, il presidente del Consiglio entra di nuovo a gamba tesa nella complessa partita delle elezioni capitoline con una formale e rumorosa investitura del suo candidato alle primarie (svuotate così di significato), Roberto Giachetti, vicepresidente della Camera dotato – a suo dire – delle caratteristiche necessarie per essere un ottimo, anzi eccellente, primo cittadino: “Giachetti – ha affermato Renzi – conosce Roma meglio di chiunque altro, ha fatto il capo di gabinetto [del sindaco Rutelli, ndr] e ha fatto uno sciopero della fame per la legge elettorale. È romano e romanista”.
Dopo alcuni tentennamenti, il 15 gennaio il vicepresidente della Camera ufficializza senza alcun entusiasmo la sua riluttante candidatura alle primarie – di cui ancora non si conoscono le modalità – del 7 marzo prossimo con un tweet e un video girato nel suo quartiere, il Gianicolo.
Ma chi è Roberto Giachetti e qual è la sua possibile visione di Roma per un futuro in cui la sfida si fa grande e il compito del sindaco si preannuncia – parole sue – “un impegno gravoso”?
Il candidato del segretario del PD non è di sicuro uno sprovveduto: dal 1993 al 2001 ha presidiato il Campidoglio, come capo della segreteria del sindaco Rutelli prima e come suo capo di gabinetto poi. Non è uomo nuovo al governo capitolino, quindi, ma non è nuovo nemmeno alla politica. Conosce il potere dal di dentro, con le sue dinamiche, le sue trappole e la sua necessaria spregiudicatezza. La sua biografia politica racconta di diversi cambi di partito: nasce radicale, diventa verde, è tra i fondatori della Margherita, poi ulivista per approdare infine al PD, al cui interno si riposiziona più volte fino a diventare un fedelissimo dell’attuale segretario. Tutto, sempre, nella scia e all’ombra di Francesco Rutelli, suo primo mentore e guida politica.
Una biografia che può aiutarci a cercare d’immaginare che tipo di sindaco potrebbe essere qualora riuscisse nell’impresa (disperata?) di farsi eleggere dai cittadini. Nel suo primo messaggio dal Gianicolo esprime come centrale l’idea di cambiare Roma, la Roma vera, non quella delle cartoline ma la Roma delle periferie, quella che lui indica come la Roma “delle persone normali”. Finalità per cui auspica la partecipazione di tutti, coinvolti personalmente a disegnare il suo programma politico attraverso consigli e indicazioni.
Tutto, a parole, molto bello. Ma, come accade per tutti, anche per Giachetti è il tempo che forma le persone: e quindi, alla luce della sua biografia politica, è lecito immaginare che l’esperienza vissuta in Campidoglio al fianco di Francesco Rutelli non possa non influenzare il suo approccio al “cambiare Roma”.
Ecco allora che, dopo l’esperienza di vera rottura da parte di Ignazio Marino con metodi e riti caratteristici fino a quel momento dell’opaca politica cittadina, il “cambiare verso” renziano rischia molto concretamente di tradursi in un tornare indietro nel tempo, a un’amministrazione impegnata in investimenti, grandi opere, grandi spese, nuovo indebitamento. Perché forse, come il suo mentore, anche Giachetti dovrebbe fare i conti con la realtà, mediare fra poteri e interessi, fare concessioni che, come già avvenuto in passato, finirebbero per far passare in secondo piano l’interesse generale della città, snaturando e stravolgendo la promessa elettorale di un progetto in cui ciascuno sia chiamato a “sentirsi partecipe del riscatto della città”.
Il politico Giachetti, semmai dovesse riuscire a farsi eleggere sindaco, si scontrerebbe con la quotidianità non dello scranno da vicepresidente della Camera − che non vuol lasciare fino alla certezza di essere eletto sindaco, quando vi sarebbe obbligato dalla legge − bensì delle buche per le strade, degli scioperi dei vigili, dei sindacati che premono, della viabilità a singhiozzo, delle grandi opere senza fondi.
È una domanda fondamentale e ineludibile quella sulla traduzione in opera del suo slogan “cambiare Roma”. Il commissario del PD romano tenta di tranquillizzare: Giachetti – dice con ottimismo d’ufficio – è “una personalità di assoluto livello che può incarnare le aspettative della città riguardo il lavoro di pulizia che abbiamo intrapreso e che penso possa farci vincere”.
Parole, di nuovo solo parole. Non può non sorgere una domanda più che legittima: Giachetti è un candidato politico o amministrativo? In altri termini: il suo profilo risponde davvero a ciò che la città desidera per cambiare, ciò di cui ha bisogno, oppure si propone solo come elemento di una squadra politica di partito, più importante di lui, da cui dipenderanno l’amministrazione della res publica e la qualità della vita dei cittadini, di quegli elettori chiamati a votare un programma adattabile in relazione alle leggi di compromesso che il governo centrale determinerà una volta sancito il patto?
Così come fu per Rutelli, chiamato a piegarsi alle leggi di mercato non scritte tanto da produrre un aumento del debito pubblico capitolino di 892.937 (ottocentonovantaduemilanovecentotrentasette) euro al giorno – sì, proprio al giorno – è legittimo chiedersi che cosa comporterà oggi la realizzazione della visione del suo allievo Roberto Giachetti. Il buco nero rutelliano era addebitato per la maggior parte ai servizi di trasporti, un debito di 9.000 miliardi di lire (4,5 miliardi di euro); per le opere del Giubileo vennero utilizzati 3.500 miliardi di lire (1,75 miliardi di euro), senza però concludere tutti i progetti messi in cantiere, come il sottopasso di Castel Sant’Angelo, opera molto importante per la viabilità.
Come gestirebbe la capitale d’Italia un immaginario Giachetti sindaco a giugno, in pieno giubileo, fra sicurezza, viabilità, infrastrutture? Il suo pensiero correrebbe ai romani, alla democrazia, alla legalità? Offrirebbe la trasparenza per cui si è battuto il sindaco Marino oppure darebbe preferenza alla politica, quindi al suo partito, quel partito che non ha conservato la fiducia nel sindaco eletto dai cittadini?
Il commissario romano del PD proclama meccanicamente e con scarsa convinzione che “Marino è il passato, è la storia di un fallimento politico e non credo Roma voglia ripartire da un fallimento”. Una doppia menzogna. E Giachetti più che il futuro appare il ritorno a un fallimentare passato remoto con le sue dinamiche e criticità conosciute. Sta qui la differenza tra quello che sarebbe un successo politico e quello che sarebbe un successo per una pubblica amministrazione finalmente all’insegna della democrazia, della legalità e della trasparenza.
Nelle elezioni di giugno non è in gioco il futuro di un partito ma quello, molto più importante, di Roma, il futuro di persone che abitano, vivono, sopportano e supportano una città meravigliosa quanto complessa e che non può essere governata a tavolino. Non è politica: è vita di una città, è sporcarsi le mani e relazionarsi direttamente con i propri elettori. Roma cerca il suo sindaco e non un sindaco figlio di una vecchia politica di cui ancora paghiamo e pagheremo a lungo il prezzo.
È Roma il cuore della discussione, deve essere Roma il centro della preoccupazione per la scelta di un candidato. Noi speriamo che Roma venga prima di tutto, che non si torni indietro ma si possa guardare al futuro con chi accetta un patto di fiducia, non un “compito gravoso”.

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Un pensiero riguardo “Il “gravoso” compito tutto politico del candidato riluttante

  • gennaio 20, 2016 in 7:00 pm
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    … e Ignazio Marino chi lo aiuterà? Il suo staff è preparato?

    Roberto Giachetti, candidato alle primarie del PD per candidarsi a sindaco di Roma, nel suo primo video, sulla sua pagina Facebook e sul suo sito web, usa ognuno dei tre linguaggi di leader (vincente, perdente, prepotente): in che direzione si evolverà dipenderà dal linguaggio cognitivo (parole per pensare, prima ancora che per comunicare) dei suoi collaboratori più propinqui. Monitorando la presenza di Giachetti su La7 e l’intervista pubblicata sul Messagero di Martedì 19 gennaio 2016, pagina 41, confermo che il suo linguaggio cognitivo (le parole per pensare) è ancora “staminale” (differenziabile in una delle tre direzioni di leadership).

    I verbi sostantivati con la prima persona plurale sono tipici dei leader che verranno seguiti e ascoltati; con la terza singolare, invece, sono frequenti nei discorsi dei perdenti e con la seconda plurale li ascoltiamo e vediamo nelle parole dei prepotenti. Codesta è la cornice, il frame, il quadro, entro cui si svolgerà la proposta formativa per la promozione e gestione di una campagna elettorale. http://www.iliblab.com, 12/13, 19/20, 26/27 febbraio 2016 presso la sede della fondazione Basso, di fronte ed accanto ai Palazzi del Senato, a Roma.

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